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Uscito nel 1968 e quindi, in un'edizione rivista dall'autore che qui si presenta, nel 1990, "L'arte della fuga" evoca fin dal titolo "una partitura musicale, fatta di variazioni intorno a un tema, e l'immagine della fuga in senso letterale", come scrisse lo stesso Pontiggia. In queste pagine il lettore incontra "fughe, inseguimenti, delitti, insomma il meccanismo e i fatti di un giallo: però ignora non solo chi è l'assassino, ma chi è la vittima". Opera sperimentale, ma di uno sperimentalismo mai gratuito, che non sacrifica il gusto del narrare, libro prismatico e polifonico, "L'arte della fuga" è un canovaccio dei romanzi possibili, nel quale i topoi del genere poliziesco si caricano di significati allusivi. Un prontuario di trame, da godersi tutto d'un fiato, come per il più classico "giallo", o da assaggiare qua e là, scoprendo nei frammenti di prosa e poesia che lo compongono, nell'alternanza e nella variazione dei toni, un'investigazione che si fa interrogativo sulla sostanza stessa dell'essere umani.